Il Dott. Maurizio Schiavon è il responsabile del Centro di Medicina dello Sport e delle Attività Motorie dell’ULSS 16 di Padova, da anni si occupa di tenere sotto controllo la situazione di salute degli atleti padovani.
Recentemente ha dato il via a uno studio che vede protagonisti i subacquei, in particolare sta indagando il rapporto tra problemi cardiaci e immersioni.
Lo abbiamo intervistato per farci raccontare meglio di questa ricerca innovativa che mette le basi per nuove linee guida nel campo della subacquea.
A Medicina dello Sport ci occupiamo di fare dei test tecnici per valutare la “prestanza fisica” degli atleti: dobbiamo assicurarci che non incontrino alcun tipo di problema durante lo svolgimento delle attività sportive, per questo motivo li sottoponiamo a esami sotto sforzo che permettono di avere un quadro completo della “sofferenza” fisica a cui vanno incontro durante lo sport.
Ecocardiogramma e holter sono gli strumenti principali che vengono utilizzati per le prove da sforzo e ci danno la possibilità di controllare tutte le modificazioni fisiologiche.
Tra gli atleti che ne sono più colpiti ci sono chiaramente i subacquei: il cambiamento di pressione durante l’immersione, la respirazione di ossigeno attraverso le bombole ecc.. incidono moltissimo sul fisico dello sportivo. Per questo motivo, da tempo, ci siamo concentrati su dei test che coinvolgono i sub: abbiamo messo a punto un holter speciale che possa entrare in acqua durante l’immersione per monitorare al 100% il cuore del sub.
Lo strumento holter non è altro che un piccolo dispositivo, grande come un pacchetto di sigarette, a cui sono collegati degli elettrodi che devono essere posizionati sul torace: come potete immaginare non era possibile utilizzarlo in acqua!
Per questo motivo, insieme alla ditta Metrolab di Padova dell’ingegner Enzo Giuffré e alla ditta Mortara Rangoni che produce apparecchi medicali, abbiamo messo a punto un dispositivo in un contenitore stagno che può essere utilizzato durante l’attività in acqua.
L’holter che utilizziamo è estremamente preciso e analizza ben 12 derivazioni: è come fare un elettrocardiogramma in cui si possono vedere tutte le modificazioni cardiache.
Per mettere alla prova i nostri sub abbiamo prima di tutto analizzato i cambiamenti cardiaci in immersione in acqua libera, sia al lago sia al mare, e modificato una serie di variabili come la tipologia di muta, profondità ecc.. registrando le variazioni di frequenza cardiaca.
Poi ci siamo spostati a fare le analisi in un ambiente protetto, controllato: la piscina Y-40, la più profonda al mondo, si trova a Montegrotto Terme in provincia di Padova ed è perfetta per fare immersioni standardizzate a temperatura costante, con o senza muta, a diverse profondità e anche sotto sforzo perché su una piattaforma a circa -15 metri sono posizionate delle biciclette. Pedalare a quella profondità provoca uno sforzo superiore che all’esterno perché la densità dell’acqua incide moltissimo.
Chi sono i partner con cui state portando avanti questo progetto e quali sono gli obiettivi che vi siete prefissati?
L’idea di procedere con questi studi nasce dal Centro di Medicina dello Sport e delle Attività Motorie dell’ULS 16 di Padova in collaborazione con l’istituto di fisiologia clinica, in particolare con il prof. Gerardo Bosco ricercatore in fisiologia e recentemente eletto Vice Presidente Undersea Hyperbaric Medical Society, la Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa e il CNR di Pisa con l’ing. Remo Bedini; dal punto di vista tecnico c’è l’apporto fondamentale delle ditte Metrolab Mortara Rangoni.
In prima linea nei lavori ci sono la Dott.ssa Elena De Marzi che si è occupata di tutte le registrazioni e ha molta esperienza in questo ambito, affiancata da medici cardiologi e specializzandi dell’Università di Padova. Il nostro lavoro sta avendo molta attenzione anche dagli Stati Uniti, nostro partner scientifico è il prof. Enrico Camporesi dell’University of South Florida. Il team di medici: Gerardo Bosco, Hesham R. Omar, Elena De Marzi, Enrico M. Camporesi, Devanand Mangar, Massimo Pieri, e io, Maurizio Schiavon ha già pubblicato sulla rivista scientifica The journal of sports medicine and physical fitness, un articolo sull’innovativo strumento che permette di fare l’ECG sott’acqua.
Recentemente abbiamo avuto la conferma di un finanziamento di 10.000€ da parte della FMSI, la Federazione Medico Sportiva Italiana, grazie ai quali potremo continuare con i nostri studi.
Sinora abbiamo svolto due diversi tipi di indagini: oltre a quelle in acque libere siamo andati ad analizzare un caso specifico molto importante, il cardiopatico.
Prima di iniziare l’immersione, quando il sub si trova sulla barca e sta per tuffarsi, in lui avviene un aumento del battito del cuore, la cosiddetta “tachicardia emotiva” che si verifica proprio per l’eccitazione per entrare in acqua. Quando il sub salta dalla barca la frequenza cardiaca diminuisce notevolmente: avviene il diving reflex. Si tratta di una reazione che provoca appunto riduzione del battito cardiaco (bradicardia) fino al -50% del valore normale, vasocostrizione periferica e concentrazione del sangue principalmente al cuore e al cervello e aumento medio della pressione arteriosa. Quando infine il sub esce dall’acqua, a differenza di quanto ci si potrebbe aspettare, il ritmo cardiaco non torna a essere normale ma il sub è vittima di bradicardia.
Abbiamo deciso di interessarci in particolare a tutti questi cambiamenti perché vogliamo dare una risposta a tutti quegli ex-sub che si sono ritrovati a dover appendere la muta al chiodo a seguito di un infarto o a dei problemi di cardiopatia.
Al soggetto infartuato non è permesso fare immersione: non si è in grado si quantificare lo sforzo che fa per praticare attività in fondo al mare per cui non si può dare il benestare per questo sport.
Così, grazie al nuovo strumento che abbiamo messo a punto, abbiamo iniziato a fare dei test con un ex-subacqueo 50enne che dopo l’infarto bramava di tornare a pinneggiare: dopo averlo sottoposto a questionari per valutare la sua situazione fisica abbiamo proceduto con dei test da sforzo per vedere la risposta del suo cuore in acqua.
Ora vogliamo proseguire su questo studio per poter arrivare a definire delle linee guida più sicure. Dobbiamo prima di tutto rendere il nostro strumento ancora più piccolo e sempre più funzionale per cercare di standardizzare al massimo l’immersione e per dare risposte certe che rendano più controllata la vita subacquea.
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